Primavera da nonna.
La primavera era la stagione più bella l erba verdee sembrava
Un tappeto.messo.li..con.tanti fiorellini sparsi di tanti colori.
Mia nonna viveva da sola in quella casa, e io stavo lì con lei. Eravamo sole, sopra quella collina, con altre case e casali vicini, ma lontani.
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Ma mai una volta ho avuto paura, perché sapevo che c’era lei.
Mi sentivo protetta, sicura, senza paura, felice di stare con lei.
Era una donna magra, giovane, una donna vera, forte, che emanava sicurezza.
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Le giornate iniziavano con abiti più leggeri, e non serviva più stare vicino al fuoco. Le fiamme disegnavano figure danzanti, piano piano il fuoco diventava più languido, finché restava solo la cenere.
Fuori, il sole scaldava la pelle.. La mattina presto si sentiva il canto degli uccellini, di tanti tipi, che cantavano felici: era primavera, e la sveglia erano loro, quei canti gioiosi.
Non si sapeva mai che ora fosse, ma nonna si regolava benissimo, secondo me sapeva l’ora più di un orologio.
La parte bella era l’ora di pranzo: si sentivano i profumi dalla cucina. Nonna buttava frasche sul fuoco per far bollire l’acqua. Lei andava avanti e indietro tra la cucina e la veranda fatta con foglie del uva dove si stava freschi, con qualche raggio di sole che passava tra una foglia e l’altra, creando sprazzi di luce come piccoli gioielli.
Mangiavamo una di fronte all’altra: nonna mi cucinava cose che mi piacevano, e forse piacevano anche a lei. Belle zuppe di pasta e ceci, che a me sono sempre piaciute tanto.
Metteva sempre a tavola cose semplici ma buone.
Il pomeriggio, io giocavo ,mentre nonna non stava mai ferma: aveva tante cose da fare e non aveva tempo di fermarsi. Sistemava ogni cosa fuori, lavava i piatti, spazzava… insomma, si viveva più all’aperto.
La sera si andava a letto, e dalla finestrella piccola della camera da letto si sentiva il canto di altri uccelli: il cuculo e tanti altri uccelli, e poi la civetta.
Nonna si arrabbiava quando la sentiva cantare, diceva che portava sfortuna. Io chiedevo che animali erano a fare quel concertino, e il nome “civetta” mi allarmava da ragazzina.
Nonna diceva: “È stasera c’è anche la civetta”, come per dire che ci mancava anche quella.
Io chiedevo: “Nonna, la civetta cosa fa?”
Lei rispondeva: “Niente, e poi senti come è lontana.”
Attraverso i vetri della finestra si vedevano gli alberi muoversi, e con quel concerto di tanti animali notturni, il frinire dei grilli, mi addormentavo sentendomi protetta dalla mia nonna, donna dolce e tanto forte, che emanava sicurezza.
I grilli, infiniti, intonavano la loro ninna nanna, un canto dolce e incessante che avvolgeva la notte come un caldo abbraccio della natura.
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