La casa era immersa in una quiete irreale quando vi feci ritorno.
Avevo passato l'intera giornata a rispondere alle domande della polizia, ripetendo come un automa i dettagli della discussione con Josh, omettendo accuratamente qualsiasi riferimento a Elita.
Ora, mentre aprivo la porta, quasi mi aspettavo di trovarla lì ad aspettarmi. Ma il salotto era vuoto, solo la coperta ancora piegata sul divano a testimoniare il suo passaggio.
Mi lasciai cadere sul sofà, le mani che mi tremavano ancora. Chiusi gli occhi, cercando di scacciare l'immagine di Josh appeso come un manichino rotto.
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Un rumore lieve mi fece sobbalzare.
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Elita era in piedi sulla soglia della cucina, avvolta in quella stessa felpa che le avevo prestato giorni prima.
La stoffa grigia le scendeva fino a metà coscia, mettendo in risalto il bianco della sua pelle.
Sei tornato, - disse semplicemente.
La fissai, il cuore che accelerava per motivi che non riuscivo nemmeno a comprendere.
-Dove sei stata?
-Qui. - Fece un passo avanti, i piedi nudi che non producevano alcun suono sul pavimento di legno. - Aspettavo che tornassi.-
Deglutii a fatica. - Un mio amico è morto oggi.-
Gli occhi di Elita non tradivano alcuna emozione. - Lo so.
-Come fai a...-
L'ho sentito. - Si avvicinò ancora, fino a trovarsi a un passo da me. - Nella tua testa. Le immagini mi arrivano come... echi.-
Mi alzai di scatto, improvvisamente incapace di starle così vicino. - Questo non è normale.-
-No. - Ammise lei, la voce un sussurro. - Ma non ho paura. E non dovresti averne tu.-
La raggiunsi in due passi, le mie mani che le afferrarono le spalle con più forza del necessario. - Chi sei davvero? Cosa ti è successo quella notte sulla strada?-
Elita non si sottrasse al grip. Alzò una mano e mi sfiorò la tempia con le dita.
-Vedi anche tu, ora?.
Un lampo. Un'immagine. La strada bianca, la Jeep che sbanda, il suo corpo che vola attraverso il parabrezza. Poi il buio. E poi...
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La lasciai andare, barcollando all'indietro. - Cristo.-
-Non sono un mostro, Alex. - Elita abbassò lo sguardo. - Ma qualcosa in me è...diverso.-
Il silenzio che seguì fu interrotto solo dal ticchettio della stufa e dal nostro respiro affannato.
La osservai, veramente la osservai forse per la prima volta: la fragilità delle sue clavicole sotto la stoffa, le vene bluastre che trasparivano ai polsi, quel modo di tenere la testa leggermente inclinata come se stesse sempre ascoltando qualcosa di lontano.
All'improvviso, senza sapere perché, gli tesi una mano.
Elita esitò, poi vi appoggiò la sua.
Dimmi solo una cosa, - sussurrai stringendole le dita. - C'entri qualcosa con quello che è successo a Josh?-
Le mi guardò per un lungo istante, gli occhi che sembravano riflettere una luce che non esisteva.
-Non l'ho toccato.-
Tirai un sospiro, lentamente. Non era una risposta. Ma forse, per ora, poteva bastare.
—Hai paura di me? – mi chiese, mentre la neve cadeva fuori, lenta e senza vento.
—No.–
Poi si avvicinò. E mi baciò.
Un bacio più profondo, più lento, più invasivo.
Mi accarezzò la nuca, e quando le sue dita mi toccarono dietro l’orecchio, sentii come una scarica.
Come se qualcosa dentro di me si stesse piegando.
Quando mi staccai da lei, non ricordavo cosa stavo pensando un attimo prima.
Ma una cosa la sapevo. La desideravo. E volevo tutto di lei.
—Rimani.– le dissi.
Lei non rispose. Ma non se ne andò.
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Quella notte dormì nel mio letto. Non facemmo l’amore. Dormì rannicchiata contro di me, la testa sul mio petto, i corpi intrecciati come radici nello stesso terreno.
Scoprii che il suo odore, quel misto di ferro e vaniglia, mi calmava i nervi.
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